Klimt experience a Firenze
Dominano sovrani dipinti rappresentanti Vienna nei primi del ’900, sinuose figure femminili e paesaggi: essi sono inquadrabili nel concetto di unitarietà dell’opera d’arte proprio di Klimt: egli infatti ha sempre cercato di realizzare un’integrazione tra architettura, pittura, decorazione e arti applicate.
Prima di accedere a questo tipo di esperienza, in un’altra stanza si ha la possibilità di utilizzare gli Oculus Samsung Gear VR, visori di realtà virtuale elaborati dalla società milanese Orwell che, una volta indossati, permettono allo spettatore di “entrare” nella realtà tridimensionale dei quadri: a partire dai loro dettagli si accede ad ambienti virtuali che prepotentemente si affollano nei quadri conseguentemente alla visone di questi ultimi. E’infatti sufficiente fissare un quadro per far sì che automaticamente questo tipo di tecnologia permetta di abbandonarsi alle sorprese che il mondo della virtualità riserva in ogni dipinto. Si potrebbe -probabilmente in modo azzardato- definire questa tecnologia come un esperimento di metapittura in quanto cerca di far sì che la pittura si volga su se stessa per riflettere su di sè e dunque autocontemplarsi: il rischio che ovviamente si corre è dunque la sovrainterpretazione, la forzatura dell’emozione che ha realmente mosso Kimt nell’elaborazione di ogni dipinto e che è di fatto destinata a rimanere sconosciuta come per tutti gli artisti di tutti i tempi.
Al di là di rischi eventuali nell’interpretazione delle intenzioni di Klimt, il viaggio in un luogo “altro” che la mostra propone permette agli spettatori di ritrovarsi in una dimensione onirica e corale: si ha infatti la sensazione di essere imbrigliati in un sogno collettivo solo avviato dal grande artista viennese.

Silvia Di Conno